Quando i prigionieri di guerra italiani venivano mandati in Australia

Laura Mecca ci racconta la storia di un diario di guerra che venne portato in Australia, e gli eventi che causarono l'arrivo down under di molti prigionieri di guerra italiani.

Italian Historical Society

Italian POWs at the back of their living quarters on the Irvine and Bartlett banana plantations at Middle Pocket Source: courtesy of Italian Historical Society

Una delle più importanti celebrazioni del calendario australiano è Anzac Day, giornata che commemora lo sbarco delle truppe australiane e neozelandesi a Gallipoli, in Turchia, avvenuto il 25 aprile 1915, dove si consumò una sanguinosa sconfitta con gravi perdite di vite umane. Oggi l’Anzac Day commemora non solo quei soldati ma anche il sacrificio di uomini e donne, che hanno prestato servizio nella Prima e nella Seconda Guerra Mondiale e in numerose altre più recenti campagne e missioni di pace. E con i reduci australiani sfilano anche i nostri ex-soldati italiani della Seconda Guerra Mondiale. Ne parliamo con Laura Mecca, ex direttrice della Società Storica Italiana del Coasit di Melbourne.

"È in questo contesto del “ricordo” di chi ha combattuto sui campi di battaglia, che trovo doveroso onorare la memoria dei soldati italiani fatti prigionieri durante la Seconda Guerra Mondiale nella campagna del Nordafrica, conosciuta anche come guerra nel deserto"
Qualche anno fa, quando lavorava alla Società Storica Italiana del Coasit di Melbourne, Laura Mecca ricevette una lettera da Peter Bertola, un anziano italo-australiano del Western Australia che mandava il diario del soldato Francesco D’Urbano, a nome di un suo vicino di casa. Il diario era stato trovato in uno dei campi di battaglia in Nord Africa, dove vennero fatti prigionieri circa 35.000 soldati italiani. Tra questi c'era anche il soldato Francesco D’Urbano.
"È un diario molto commovente in cui vengono descritte le vicissitudini della guerra vissuta dal vivo dal soldato italiano"
Il diario, secondo le leggi che regolano il ritrovamento di oggetti sui campi di battaglia, era considerato “war booty” (bottino di guerra) e avrebbe dovuto essere consegnato al Comando delle Forze Armate australiano al rientro in Australia. Ma questo ex-soldato non lo fece. "Pur non comprendendo cosa vi fosse scritto capì che era qualcosa di molto personale e importante che non poteva e non doveva finire dimenticato negli archivi. Ci pregò di rintracciare la famiglia del soldato che forse era morto sui campi di battaglia", racconta Laura Mecca.
Francesco D'Urbano's diary.
Francesco D'Urbano's diary. Reproduced with permission of Co.As.It. – Italian Historical Society Source: courtesy of Italian Historical Society
Ecco alcuni passaggi del diario:


Notte [dal]17 al 18- 8-940. Amo la mia Patria! Penso alla mamma!

... Lasciata l’Italia per venire  a compiere il mio dovere da soldato in Libia ho trovato che bisogna combattere. Nessuno di noi trema ... si pensa all’Italia lontana, si pensa alla mamma. Sicuri siamo della vittoria che sarà nostra. ...E la mamma? [Il mio pensiero] è per essa che mi aspetta. So che non dorme per me, vorrebbe vedermi un istante, povera mamma! ... Chissà quante madri dovranno piangere invano perché i loro figli si trovano di già sepolti in questa terra africana, per non fare più ritorno da chi tanto l’aspetta!

10 [dicembre 1940] La marina inglese bombarda lungo la costa di Sidi –el-Barrani proteggendo l’avanzata dei [loro] carri armati ed autoblinde ...  Da parte nostra si fa ogni resistenza contro il nemico. Il Gibli tira. Il nemico è riuscito malgrado la nostra resistenza a raggiungere un nostro punto di concentramento viveri facendo prigioniere [le] nostre colonne che si trovavano in marcia. ... Molti vengono feriti ed altri morti. ... Un nostro caccia nelle nostre linee lancia un messaggio di ripiegare. ... La maggior parte  [dei soldati] per la mancanza di mezzi ... hanno fatto un centinaio e più di km a piedi ... Sino al giorno 12 [dicembre] hanno affluito nel concentramento solo col fucile, borraccia, alcuni con zaino. Ogni soldato ha Saputo fare il suo dovere. (...) La maggior parte di essi sono stati disarmati dagli inglesi e fatti prigionieri, dove molti di essi se ne sono fuggiti. Altri sono stati inseguiti e mitragliati dai carri armati, tutto era uno sfacelo. Gli apparecchi nemici mitragliavano da bassa quota. La marina nemica da vicino alla costa vomitava fuoco sui nostri che rientravano. Noi della Guardia di Frontiera pronti siamo a contrattaccare il nemico che questa volta ce l’ha fatta sul serio. ... L’aviazione inglese unita alla marina ci buttano sopra tonnellate di esplosivo. I nostril soldati unti agli ufficiale rientrano tutti in condizioni pietose. Gli ufficiali la...

Il diario si interrompe improvvisamente.

Durante la disfatta italiana sul fronte africano vennero catturati circa 200.000 soldati italiani internati come prigionieri di guerra in numerosi campi di concentramento, dal Sud Africa, alla Palestina, all’India, dove rimasero prigionieri degli inglesi mentre la guerra continuava a mietere vite in Europa.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 migliaia di soldati italiani furono mandati in Inghilterra, Sud Africa e Australia. Dal 1941 al 1944 arrivarono in Australia circa 18.000 prigionieri italiani per lavorare nelle aziende agricole e coltivazioni e in progetti di irrigazione governativi. Venivano da ogni parte d’Italia, erano giovani forti che erano sopravvissuti alle fatiche e barbarie di una guerra combattuta in suolo straniero.
Co.As.It. – Italian Historical Society
Italian POWs about to begin a soccer game at the a POW camp in northern India including Gnocchi, Santoro, Locont, Perra, Barbato, Bidda, Mundini. Mundini, Locatelli, Rotondi, Fiorito, Mazza and Pigozzi. Reproduced with permission of Co.As.It. – Italian Historical Society Source: courtesy of Italian Historical Society
A parte qualche circoscritto caso di discriminazione, gli australiani delle zone rurali avevano accolto bene questi giovani, considerati dei grandi lavoratori. Una volta finita la guerra i prigionieri vennero rimpatriati, ma tra quelli italiani circa il 10 per cento ritornò in Australia dopo il 1950, sponsorizzati dalle stesse famiglie che li avevano ospitati.

Sam Puccio venne portato in Australia nel 1941, prima nel campo di Cowra nel NSW e poi trasferito a Murchison nel Victoria. Con altri compagni di prigionia, fu assegnato alla famiglia Moore in una proprietà vicino a Yarram. Sam venne trattato con dignità e rispetto e accettato come parte della famiglia. Alla fine della prigionia venne rimpatriato in Italia, ma nel 1948 la famiglia Moore lo sponsorizzò per ritornare come emigrante in Australia.

Anche Orfeo Campagner e Alessandro Luciani vennero sponsorizzati dalla famiglia Kemp di Inverell, dove trascorsero un paio di anni da prigionieri. A loro volta questi ex-prigionieri sponsorizzarono decine di parenti e paesani che li seguirono in Australia.

I datori di lavoro del soldato Giuseppe Magnavacca, proprietari di piantagioni di banane, gli diedero delle ottime referenze per il suo ritorno in Australia, a Melbourne, dove aprì un ben noto laboratorio di ornamenti da giardino in gesso a Brunswick.

Riccardo (Rick) Pisaturo si fece così benvolere dai signori Badgery dove lavorò in una grossa tenuta Agricola in Sutton Forest, NSW che non solo lo sponsorizzarono per il suo ritorno in Australia, ma essendo senza eredi gli lasciarono anche la loro proprietà.
Angelo Vicino
Prisoners of war in Yarram Victoria. The photograph includes Angelo Vicino [third from left]. He was repatriated after the war but soon emigrated back to Yarram. Reproduced with permission of Co.As.It. – Italian Historical Society Source: courtesy of Italian Historical Society
E Francesco D’Urbano? Francesco fortunatamente sopravvisse alle vicissitudini e tragedie della guerra, e dopo aver trascorso anni di prigionia in India venne trasferito in Inghilterra, da dove rientrò da uomo libero nel 1946. Al suo rientro a Fara Filiorum Petri (un piccolo comune in provincia di Chieti) continuò ad occuparsi della grande passione che aveva ereditato dal padre per la musica, diventando direttore delle bande musicali più importanti del circondario. Morì nel 1967 lasciando un profondo vuoto e caro ricordo nella mente di molti compaesani che gli hanno dedicato una strada.

Con l’aiuto degli archivi militari italiani Laura riuscì a rintracciare la moglie di D’Urbano alla quale inviò una copia del diario.

Un grazie particolare da parte di Laura Mecca a Elizabeth Triarico, Collection Manager della Società Storica Italiana del Co.As.It. di Melbourne per il suo aiuto alla ricerca negli archivi della Società Storica e a Francesco D’Urbano (nipote omonimo dell'autore del diario) per averla fatto partecipe della vita e dei talenti di suo nonno.


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By Laura Mecca, Magica Fossati

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