Nel 2014 ha superato come numero di bottiglie vendute il suo cugino più celebre, lo champagne, diventando il vino italiano più venduto al mondo. Ma parallelamente agli onori della fama e a numeri da capogiro (660 milioni di bottiglie prodotte nel 2017) , Il prosecco ha dovuto schivare anche qualche buccia di banana.
La prima e più ovvia delle quali riguarda la difesa dell'originalità di un prodotto che è facilmente replicabile e che le certificazioni di IGT e DOCG non sono riuscite a tutelare, soprattutto nei confronti dell’Australia.
Anche down under si produce e si consuma infatti un vino chiamato prosecco. Uno stato di cose non nuovo nel settore vitivinicolo, ma che ha comunque provocato malumori tra i produttori italiani.
Allo stato attuale, l'assenza di una regolamentazione specifica e la mancanza di accordi bilaterali tra Italia e Australia consentono infatti ad entrambi i Paesi di produrre del 'prosecco'. Leggi di questo tipo esistono a livello comunitario, tutelano cioè l'Italia e altre nazioni europee, ma non si applicano nei rapporti tra Roma e Canberra.
In altre parole nessuno dei due Paesi può imporre all'altro l'uso di un nome diverso da quello di prosecco.

Prosecco Valdobbiadene Source: Flickr
E se in questa situazione l'Italia avrebbe apparentemente tutto da perdere, secondo Marco Senia - presidente dell'ANZIS, l'Associazione Italiana e Australiana dei sommeliers - in questa vicenda potrebbero celarsi risolti positivi persino per i produttori del Bel paese.
Il vice presidente dell'Associazione Italiana dei Sommelier Roberto Bellini analizza la questione da una prospettiva diversa. Sostiene cioè che la priorità per i produttori italiani di prosecco sia il rispetto del buon nome del vino, il che passa ovviamente anche per il rispetto della qualità del prodotti.
Il rischio, secondo il vicepresidente dell'AIS, è che al buon nome del prosecco possa alla lunga essere legato a vini di qualità inferiore, se non addirittura scadente.
Marco Senia, presidente dell'ANZIS, specifica dal canto suo che in Australia il prosecco di qualità non avrebbe comunque mercato.
"L'Australia è il quarto Paese al mondo per numero di bottiglie prodotte annualmente. Ma la qualità dei vini prodotti e consumati è decisamente inferiore rispetto a quella del Vecchio Continente"
Ai fini della diffusione del nome prosecco su scala mondiale, insomma, non sarebbe del tutto negativo se Down Under si continuasse a produrre un vino chiamato prosecco e se questo venisse consumato agli antipodi, venendo magari esportato in Asia. Dove, alla lunga, il nome metterebbe radici.
Questa guerra fredda del prosecco tra Italia e Australia potrebbe quindi contribuire e rendere ancor più celebre nel mondo il nome del frutto con le bollicine delle colline venete. In particolare in mercati emergenti come la Cina.
Dall'altra parte, però, lo sdoganamento della denominazione di prosecco per vini di scarsa qualità potrebbe trasformarsi in un boomerang.
In fondo, pur sempre di Australia parliamo.
Riascolta qui il nostro servizio con le interviste a Marco Senia e Roberto Bellini: