Le ricette culinarie tracciano spesso un filo conduttore tra il passato e il presente. Lo si vede durante il Carnevale che, benché festeggiato diversamente dai contadini di una volta, quando arriva porta con sé una montagna di dolci fritti e pietanze ipercaloriche. Ma perché mangiamo proprio questi cibi in questo periodo dell’anno?
SBS Italian lo ha chiesto alla dottoressa Lucia Galasso, un’antropologa dell’alimentazione che vanta tra le altre esperienze la docenza per il Master del Gambero Rosso a Roma e scrive per il blog www.antropologialimentare.it.
Il suo lavoro di ricercatrice consiste nello studiare i processi e le dinamiche sociali connessi alla produzione, alla preparazione e al consumo del cibo, e i significati socio-culturali, economici e simbolici, tra gli altri, del Carnevale; perché tradizionalmente si preparano sanguinacci, cotechini e dolci fritti insomma.
Il Carnevale, ha spiegato, è quella festa che nel mondo contadino veniva simbolizzata dal paese della cuccagna: il paese della meraviglia dove si mangiava a crepapelle, in maniera trasgressiva e goliardica, ed era immaginato come un enorme montagna di gnocchi, di maccheroni con fiumi di parmigiano e soprattutto la carne, rarissima nel mondo contadino.
Un periodo di trasgressione e abbondanza che cominciava il 17 gennaio, la giornata legata a Sant’Antonio Abbate, e con l’uccisione del maiale e la produzione di scorte per tutto l’anno. La festa, infine, che precedeva il digiuno della Quaresima e che era caratterizzata dalla condivisione del cibo in strada.
La frittura era così la protagonista di quello che ora chiameremmo street food durante le sfilate.
La dottoressa Galasso ci avverte però che stiamo assistendo ad una desacralizzazione del cibo, alla perdita cioè di quei significati che lo associano ad un certo periodo dell’anno. Le frappe e i cotechini non vengono più prodotti e mangiati in questa ricorrenza; vengono decontestualizzati, diventano un alimento che si può trovare tutto l’anno sugli scaffali del supermercato.
Le feste sono regimi alimentari sacralizzati, danno cioè un senso simbolico a ciò che mangiamo in quel contesto.
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