La tensione diplomatica tra Australia e Israele si è accesa l’11 agosto, quando il governo di Canberra ha annunciato che a settembre riconoscerà lo Stato palestinese all’ONU. Una mossa che ha incrinato rapporti storicamente solidi. Il clima si è poi inasprito con la decisione australiana di negare il visto a Simcha Rothman, deputato ultraconservatore e presidente della commissione giustizia della Knesset.
In risposta, Tel Aviv ha bloccato i visti a tre diplomatici australiani presso l’Autorità nazionale palestinese. A quel punto, Benjamin Netanyahu è passato all’attacco, e in un post sui social ha definito il premier Anthony Albanese "un politico debole che ha tradito Israele e abbandonato gli ebrei d'Australia". Parole giudicate offensive anche da settori dell’opposizione israeliana.
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Simcha Rothman, il deputato dlela Knesset, al quale il governo australiano ha negato il visto d'ingresso Source: EPA / ABIR SULTAN/EPA
Secondo Michele Giorgio, corrispondente del Manifesto da Gerusalemme, "le autorità australiane hanno valutato queste posizioni estreme nella scelta di negargli il visto, ma per Netanyahu Rothman resta un uomo chiave dell’establishment".
Sicuramente ci troviamo di fronte ad una nuova fase anche nell'atteggiamento di NetanyahuMichele Giorgio
Lo scontro con Canberra si inserisce in un contesto segnato dalla guerra. Hamas ha accettato la proposta di tregua presentata da Egitto e Qatar, che prevede 60 giorni di cessate il fuoco e il rilascio di decine di ostaggi. Tuttavia, Tel Aviv ha richiamato migliaia di riservisti e autorizzato nuovi insediamenti in Cisgiordania.
Per Giorgio, la prospettiva resta cupa: "Netanyahu appare convinto che la vittoria militare sia vicina e non intende fermarsi senza la resa completa di Hamas". Una linea che rende difficile immaginare un cessate il fuoco duraturo.