Per quattro anni la giornalista d’inchiesta Jess Hill ha seguito l’evolversi della crisi di violenza domestica in Australia; le sue ricerche sono poi confluite nel libro “See What You Made Me Do” che ha ispirato la mini-serie omonima prodotta da SBS, in TV e On Demand dal 5 maggio 2021.
Secondo Hill, in molti casi è difficile individuare fenomeni di violenza domestica, come ad esempio quando si esprime sotto forma di atteggiamenti di controllo coercitivo. Tra i più comuni: la mancanza di indipendenza economica, la separazione forzata da amici e familiari, minacce di vario grado.
L’ultimo rapporto di inTouch - Multicultural Centre Against Family Violence, che si specializza nel supporto alle comunità CALD, ha rilevato che il 92% dei casi di violenza domestica include fenomeni di controllo coercitivo.
Anu Krishnan, un assistente sociale di base a Melbourne, spiega che queste forme di controllo non sono per loro natura diverse da quanto accade nella società australiana estesa ma che, nel contesto delle comunità multiculturali, le donne di origine straniera possono rappresentare target di abusi specifici legati al proprio background culturale:
“Costringere una persona indù o musulmana a fare cose contrarie alla propria fede, ad esempio forzando qualcuno che è vegetariano a cucinare carne, rimproverandolo se dice che non può farlo. Esempi come questo possono non sembrare atti di controllo coercitivo estremo, ma possono essere ancora più dannosi perché erodono il mondo interiore della vittima”.
L’associazione "Children by Choice" in Queensland, ha rivelato che in Australia tra le donne appartenenti a comunità multiculturali, oltre una su cinque è vittima di coercizione riproduttiva.
Tre quarti di queste donne sono anche vittime di violenza domestica, come spiega l'assistente sociale di Brisbane Jatinder Kaur: “Il partner o il marito si impongono intenzionalmente alla moglie nella speranza che rimanga incinta, in modo che continui a dipendere dal marito”.
Anu Krishnan, spiega che spesso le vittime di queste violenza sono donne immigrate che non hanno una rete di supporto sociale e che di conseguenza risultano più facili da isolare: “I persecutori possono essere molto abili a suggerire o convincere la partner a non uscire e non vedere persone, fino a quando le vittime non hanno letteralmente nessuno a cui rivolgersi”.
Dopo le australiane, le donne di origine indiana sono il secondo gruppo sociale a chiamare 1800RESPECT, il servizio nazionale di consulenza sulle violenze sessuali, domestiche e familiari.
La giornalista Jess Hill afferma che molte delle vittime titolari di visto temporaneo sono riluttanti a denunciare a causa della paura di perdere il visto.
Un recente studio sulla violenza familiare tra i titolari di visti temporanei durante il COVID-19, ha rilevato che il 55% delle donne intervistate ha subito minacce di deportazione. Tra le donne intervistate titolari di visti partner, il 60% è minacciato di vedersi revocare la sponsorizzazione dal partner.
Secondo le leggi sull'immigrazione in Australia, le vittime di violenza domestica che sono titolari di un visto temporaneo partner o di matrimonio, possono accedere alla residenza permanente anche dopo che il loro rapporto con il loro sponsor è terminato.Per accedere alla residenza devono dimostrare di essere state vittime di violenze familiari.
Ma Ali Mojtahedi, avvocato presso l'Immigration Advice and Rights Center, afferma che oltre al rischio di perdere il visto e venire separati dai propri figli, c'è anche un altro aspetto che costringe molte titolari di visti temporanei a continuare a sopportare gli abusi.
“Quando una vittima decide di andarsene, spesso non ha alcuna stabilità finanziaria. Non ha una rete sociale a cui rivolgersi. Potrebbero non avere accesso a Medicare. Come può quindi sopravvivere senza dover fare affidamento sulla persona che la abusa e controlla la sua vita quotidiana? Abbiamo avuto clienti che hanno lasciato relazioni violente senza nessun altro posto dove andare se non dormire in strada o in macchina”.
In Australia, una donna alla settimana viene uccisa dal proprio partner o da un ex.
Attivisti e organizzazioni stanno chiedendo a gran voce che il controllo coercitivo sia reso un crimine perseguibile; secondo alcuni esperti infatti fenomeni di coercizione sono il preludio di atti più gravi di violenza fisica.
La Tasmania è l'unica giurisdizione australiana ad aver criminalizzato il controllo coercitivo. Secondo Jess Hill è solo una questione di tempo perché altre gli altri stati australiani si muovono nella stessa direzione.
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