Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha recentemente espresso profonda preoccupazione per la situazione della ricerca scientifica in Italia.
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Ha sottolineato che le risorse destinate alla ricerca sono limitate rispetto agli standard internazionali e che molti giovani ricercatori italiani si trasferiscono all'estero non per curiosità e voglia di cambiamento, ma a causa delle condizioni economiche e professionali poco competitive nel nostro Paese.
Claudia Arici, che ha conseguito un dottorato in giurisprudenza all'Università di Sydney, sottolinea come le borse di studio in Australia siano più cospicue, equiparabili a uno stipendio full-time.
E aggiunge: "in Italia la ricerca è ancora molto localizzata. Gli atenei parlano ancora principalmente italiano, le lezioni avvengono principalmente in italiano, rendendo l'ambiente molto meno stimolante".
Secondo Antonio Tricoli, docente di Scienza dei materiali all’Università di Sydney, "ci sono ricercatori eccellenti in tutti i posti e in tutti i Paesi. L'Italia offre un grande contributo alla ricerca internazionale, ma dipende un po' dai settori. Alcuni hanno, più di altri, bisogno di fondi".
Maurizio Carmignani, un ascoltatore e anche esperto di economia, aggiunge: "ho sempre pensato che la ricerca non abbia veramente una nazionalità. Quando pensiamo alla questione dei cosiddetti cervelli in fuga o quando pensiamo al perché i ricercatori italiani vadano all'estero, secondo me manchiamo un pochino il punto del problema".
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"La ricerca non ha confini geografici. Quello che mi ha spinto a partire è la passione per il tipo di ricerca che volevo fare e l'interesse di svolgerla, indipendentemente dalla nazione o dai confini geografici", conclude Silvia Velasco, che è ricercatrice al Murdoch Children's Research Institute.