Don Luigi Ciotti ricorda Rita Atria, settima vittima di via D'Amelio

Portrait de Paolo Borsellino

Paolo Borsellino, giudice anti-mafia, e la giovanissima Rita Atria, testimone di giustizia. Credit: Livio ANTICOLI/Gamma-Rapho via Getty Images/Wikipedia

La storia di Rita Atria, la "settima vittima della strage di Via D'Amelio", rievocata attraverso le parole di don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, associazione che lotta contro la mafia e per la giustizia sociale.


Questa vicenda ci riporta indietro nel tempo al 1992, un anno che l'Italia ricorda con sgomento, un anno in cui la mafia sembrava aver deciso di sfidare lo Stato, colpendolo al cuore.

Dopo la sentenza al maxiprocesso di Palermo che assestò un durissimo colpo a Cosa Nostra nel gennaio di quell'anno, le vendette non tardarono ad arrivare: prima Salvo Lima, il democristiano che non avrebbe ottenuto i risultati che la mafia si attendeva nell'alleggerire alcune condanne, giustiziato il 12 marzo, e poi due tra i magistrati che più apertamente combattevano la mafia in quegli anni: Giovanni Falcone, ucciso il 23 maggio a Capaci, e poi Paolo Borsellino il 19 luglio.

Con loro morirono donne e uomini che, per loro sfortuna, erano a fianco di quelli che la mafia aveva designato in quel momento degli obiettivi da colpire.

Ma c'è un'altra storia, quella di Rita Atria, considerata la settima vittima della strage di Via D'Amelio.

Il 19 luglio 1992, nell'attentato in via D'Amelio a Palermo morirono a Palermo Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta.

L'Italia ripiombava in un incubo, incredula verso il potere che la mafia stava esibendo in quel 1992. Un dolore di tutti, ma per Rita, testimone di giustizia che aveva 17 anni, la sofferenza per la perdita dell'uomo che in qualche modo aveva contribuito a salvarla fu insostenibile.

"Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici. La mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarsi. Borsellino sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta".
Questo scrive Rita Atria nel suo diario il giorno dell'attentato a Paolo Borsellino, lei che aveva trovato il coraggio di ribellarsi ad un sistema violento e che per questo fu lasciata sola, anche dopo la sua morte.

"Rita Atria era nata a Partanna in provincia di Trapani in una famiglia, diciamo, mafiosa", ricorda don Luigi Ciotti ai microfoni di SBS Italian.

La decisione di testimoniare per Rita nasce non da un desiderio di rivalsa o vendetta, secondo don Ciotti: "lei vedeva oltre la mentalità rancorosa e violenta che aveva respirato fin da piccola nella sua famiglia".

"Lei non aveva capito che suo papà e suo fratello fossero mafiosi", aggiunge don Ciotti, si era anzi recata a protestare alla Procura dopo la loro morte per mano di clan rivali perché la stampa li definiva così.

Parlando con due magistrate e con Borsellino, all'epoca capo della Procura di Marsala, Rita Atria cominciò a capire come stavano le cose.

Il giudice Paolo Borsellino, che la chiamava con affetto "la picciridda", "seppe accogliere e indirizzare le sue aspirazioni di giustizia, di integrità e libertà".

Per Rita la morte del magistrato nel luglio '92 segnò la perdita di "un secondo padre", un dolore a cui non resse, e che la spinse a porre fine alla sua vita una settimana dopo.

"La sua tomba fu più volte vandalizzata, dalla sua stessa famiglia, perché nei codici mafiosi non si deve collaborare con gli sbirri, con le forze di Polizia, con la magistratura".

Oggi il nome di Rita Atria non viene più nascosto, la sua storia non va annientata ma ispira iniziative di cambiamento e rivoluzione proprio nelle terre che l'hanno condannata.

"Da questa storia disperata oggi possiamo dire con forza che è germogliata la speranza", spiega don Luigi Ciotti, che cita ad esempio "tenaci iniziative di impegno contro le mafie, come cooperative nate sui beni confiscati ai mafiosi che portano il suo nome".
A close up of Don Luigi Ciotti
Don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e di Libera - Associazioni, nomi e numeri contro le mafie.
Chi necessitasse di supporto può contattare la linea telefonica di Lifeline al 13 11 14, oppure Suicide Call Back Service al 1300 659 467 e Kids Helpline al 1800 55 1800 (per persone tra i 5 e i 25 anni). 

Maggiori informazioni sono disponibili su Beyond Blue.org.au lifeline.org.au

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