L’assassinio di Charlie Kirk e lo spettro della violenza politica negli USA

Charlie Kirk

Charlie Kirk al comizio di Turning Point alla Utah Valley University di Orem, nello Utah, mercoledì 10 settembre 2025, prima di essere colpito. Credit: Tess Crowley/AP

Un'analisi sui principali fatti internazionali della settimana dalla prospettiva americana a partire dall'uccisione dell'attivista di destra Charlie Kirk, colonna portante del MAGA di Donald Trump.


Alla vigilia del XXIV anniversario dell'attacco alle Torri Gemelle, gli Stati Uniti sono stati scossi dalla notizia dell'uccisione dell'attivista di destra Charlie Kirk davanti a migliaia di studenti riuniti nel campus della Utah Valley University.

Un atto che in qualche modo ha fatto riaffacciare lo spettro della violenza politica negli Stati Uniti, anche se, come ha affermato il giornalista Giampiero Gramaglia, "episodi di violenza politica li abbiamo registrati durante la campagna elettorale dello scorso anno, quando il presidente Donald Trump sfuggì a un attentato per molti versi simile a quello di cui è rimasto vittima Kirk".

Clicca sul tasto "play" in alto a sinistra per ascoltare l'analisi di Giampiero Gramaglia

"L'assassinio di Charlie Kirk, che non aveva ancora 32 anni, colpisce in modo particolare per le circostanze. Kirk è stato colpito da uno sparatore tuttora non identificato da notevole distanza, quasi 200 metri dal tetto di un edificio, mentre in un teatro all'aperto della Utah Valley University [Kirk] teneva uno dei suoi comizi con migliaia di studenti dell'università", ha spiegato l'ex direttore dell'agenzia ANSA.
Purtroppo la violenza ha spesso contrassegnato, con attentati talora falliti ma spesso riusciti, tutto il percorso politico degli Stati Uniti.
Dalla risposta tesa dell'amministrazione americana, molto vicina all'attivista ultraconservatore, Gramaglia è passato ad analizzare quanto accaduto in Europa mercoledì, ovvero la violazione dello spazio aereo polacco di uno sciame di droni russi.

Secondo il giornalista, si è trattato di un "pericoloso gioco di provocazione" nei confronti della NATO che non aveva l'obiettivo di scatenare una escalation del conflitto in Europa.
Rispetto al teatro mediorientale, l'attacco di Israele al vertice di Hamas a Doha, in Qatar, alleato degli Stati Uniti e sede della più importante base militare americana nella regione, è stato "inconsueto se non inaudito nelle relazioni internazionali".

"[Il Qatar] è anche un Paese cardine che ha una capacità di mediazione e di soft power molto alta. Trump ha detto che era imbarazzato da quanto avvenuto, che non era stato messo nelle condizioni di informare per tempo il Qatar di quanto stava avvenendo, però questa stessa frase è un'ammissione di essere stati al corrente dell'azione israeliana, magari informati quando l'azione era già in filieri".
Però se voleva fermarla [l'azione di Isralele] Trump poteva in un momento dire a Netanyahu di non farlo ma evidentemente non l'ha fatto. Ancora una volta ha avallato o comunque ha trangugiato quello che Netanyahu ha deciso e ha voluto fare.
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