Mentre in Paesi come Singapore, Stati Uniti e Israele la carne coltivata si vende e si consuma da qualche anno, in Australia e Nuova Zelanda, la commercializzazione è stata approvata a giugno 2025. L’Italia invece si è schierata decisamente contro con la legge 172 del dicembre 2023: un provvedimento che, per il momento, proibisce la produzione e la commercializzazione di quella che nel Bel Paese viene definita carne sintetica.
La carne coltivata, che la Food Standards Australia New Zealand ha scelto di chiamare cell-cultured food, non è ancora disponibile sugli scaffali o nei frigoriferi dei supermercati della grande distribuzione. Tuttavia, l’Australia è tra i primi Paesi al mondo a introdurla nei menù di alcuni ristoranti, tra cui Bottarga di Brighton, a Melbourne.
Sebbene dal punto di vista della sicurezza alimentare il consumo di carne coltivata non rappresenti un rischio per la salute umana, non esistono ancora molti studi sulle sue proprietà nutrizionali, come spiega la nutrizionista Federica Negro basata a Sydney.
La gestione e il mantenimento degli attuali allevamenti, soprattutto quelli intensivi, rappresentano un problema etico, un problema sanitario, e un problema ambientale, in particolare se pensiamo alle emissioni di gas serra, all’uso estensivo e allo sfruttamento di suolo e di acqua.
Secondo l’ingegnere ambientale Martino Malerba della RMIT di Melbourne, la produzione di carne in laboratorio potrebbe rappresentare un’ottima alternativa che potrebbe orientare il mercato in una direzione più sostenibile.
Ma per lo chef italiano Stefano De Pieri, ospite del nostro dibattito sulla questione, il punto è che "di cibo già se ne produce in abbondanza nel mondo". Secondo lo chef di Mildura propietario del ristorante Stefano's la produzione di carne coltivata in laboratorio non risolverebbe i problemi ambientali causati, ad esempio, dagli allevamenti intensivi. La soluzione, secondo De Pieri, è adottare una prospettiva contro lo spreco di risorse in generale.
"Questa è una falsa soluzione" spiega De Pieri, che seleziona attentamente la qualità degli ingredienti nella sua cucina e non modificherebbe per nessun motivo le sue ricette tradizionali con carne coltivata in laboratorio. "Mi sembra un procedimento basato sulla logica del profitto. Chi si mette a fare la carne in laboratorio non lo fa per l'amore della gastronomia o dell'ecologia. Non ci credo. Lo fa sempre per fare denaro".
Per la chef Alessandra D'Angelo, fondatrice del ristorante vegano di Melbourne Funghi e Tartufo, la produzione della carne in laboratorio potrebbe invece essere "un'ulteriore transizione" verso una "produzione non di natura animale della carne, nell'ottica del rispetto degli animali e dell'abuso che ne facciamo. Potrebbe rappresentare una via per condurre la gente a dismettere l'uso della carne di allevamento".