Nell’aprile del 2024, a sei mesi dall'inizio del conflitto tra Israele e Hamas, Martina Marchiò è arrivata a Gaza con Medici senza Frontiere per seguire il lavoro dell'organizzazione in due ospedali della Striscia come coordinatrice medica.
"È dura stare in un posto in cui le bombe cadono in ogni ora del giorno e della notte, e ci sono esplosioni continue", racconta, "avevamo e abbiamo vari ambulatori, in cui lavoriamo sia in autonomia come Medici Senza Frontiere sia a supporto del Ministero della Salute".
Tra gli obiettivi quotidiani, aggiunge, c'erano "la cura delle ferite, la salute primaria, la parte di ambulatorio nutrizionale, la parte di fisioterapia e riabilitazione, eccetera".
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"Poi avevamo un centro di stabilizzazione per i traumi a Rafah, che purtroppo abbiamo dovuto chiudere durante l'invasione via terra della città, perché i combattimenti e gli attacchi erano ormai a meno di cento metri da noi".

Un'immagine scattata a Gaza da Martina. Credit: Martina Marchiò
Il risultato è il libro "Brucia anche l’umanità", pubblicato da Infinito Edizioni.
"Il libro è nato un pochettino da una promessa che avevo fatto ad alcuni colleghi palestinesi, che è stata quella di continuare a parlare di Gaza, di raccontare, di sensibilizzare", sottolinea.
Riflettendo sull'impatto personale che ha una missione in una zona di conflitto come Gaza sugli operatori sanitari come lei, Marchiò ammette che non è facile metabolizzare quello che si vive e a cui si assiste.
"Ci sono scelte difficili da prendere anche a livello medico, e scegliere chi salvare e chi no. È una situazione molto dura, rimanere Zen non è facile", spiega, "sicuramente c'è tanto lavoro che viene fatto a livello personale per poter non restare bruciati e piano piano guarire e poter tornare a fare questo lavoro un'altra volta".
"Il libro non ha un lieto fine, perché purtroppo la situazione a Gaza è ancora la stessa", conclude amaramente Marchiò.
"Anche in futuro si entrerà in una fase cronica postconflitto, se mai ci arriveremo, in cui tutto sarà da ricostruire. Queste persone vivranno come sfollati, molti come disabili, perché ci sono tantissime persone, anche tantissimi bambini che hanno perso gli arti (...) Quindi questo libro non ha, non poteva avere un lieto fine".