È uscito il 5 giugno il nuovo album di Bonnot, una raccolta dal titolo “Hip Hop Dopest Joints”. In questo lavoro, per la prima volta il dj producer bergamasco mette mano alle sue produzioni più note, con un fil rouge che unisce l’Italia agli Stati Uniti, quest’ultima terra di adozione dove Bonnot ha da anni instaurato importanti collaborazioni con nomi di primo piano della scena hip-hop.
Iniziata con l’entrata all’interno del gruppo di Assalti Frontali, la carriera di Bonnot prosegue come produttore di molta della scena più impegnata del rap italiano tra cui Colle Der Fomento, Inoki, Dj Gruff e con collaborazioni con artisti come Caparezza ed Esa e arrivando negli anni alle produzioni internazionali per il leggendario duo newyorkese dei Dead Prez e realizzando brani con ospiti come Talib Kweli, Prodigy (dei Mobb Deep), Snoop Dogg, Gary Clark Jr. (uno dei più grandi esponenti del funk e del blues statunitense).
“Con questo album ho voluto rendere un tributo al genere che mi ha permesso di far diventare realtà un sogno, è grazie all’hip hop se oggi la musica è diventata un lavoro per me. Questo mi permette di vivere la musica a 360 gradi, di continuare a studiare e a fare ricerca. Ma oltre al rap io sono anche un musicista jazz, e in questi anni ho pubblicato molto materiale di questo tipo, come ad esempio le mie collaborazioni con Paolo Fresu, o le mie pubblicazione reggae. Per questi motivi il mio percorso è stato piuttosto frammentato e qualche pezzo si è perso per strada, dunque ho voluto raccogliere in questo album molte tracce forse meno conosciute, ma importanti per me”.
Ma, oltre all’Italia, sono tante le collaborazioni con artisti statunitensi famosissimi. “Lavorare con certi artisti è bellissimo. Avevo tanta voglia di capire profondamente la cultura musicale e non solo di un genere che inizialmente non era il mio, così feci le valigie e partii per New York, dove cominciai a lavorare con i Dead Prez cercando di apprendere il più possibile da loro. Viaggiare mi ha insegnato tanto”.

Bonnot Source: Supplied

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“Il mio percorso è particolare perché io nasco come musicista, ho studiato contrabbasso al conservatorio, quindi mettermi ad un certo punto a fare il dj è stato un po’ scioccante in realtà. Ma come tutte le cose, quando non le si conosce, le si giudica da fuori ed è sbagliato. Ho visto da vicino dei mostri sacri dell’hip hop e li ho potuti apprezzare, ho capito che nel loro lavoro c’erano sangue, sudore e sacrificio”.
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