È andata in archivio l’edizione 2025 della COP, la conferenza internazionale sul clima che si è tenuta nel caldo denso dell’Amazzonia, a Belém in Brasile.
Come da tradizione le reazioni sono contrastanti: i più ortodossi parlano di delusione, di sforzi e di impegni non sufficienti ad arginare gli effetti catastrofici del cambiamento climatico. Per i delusi, il fatto che il testo dell'accordo finale non menzioni espressamente i combustibili fossili, né definisca un piano esplicito per ridurre la dipendenza da carbone, petrolio e gas è una sconfitta.
D'altro canto c'è anche chi vede il bicchiere mezzo pieno, perché il Global mutirao, l'accordo politico condiviso da oltre 200 Paesi che nelle intenzioni dovrebbe segnare un nuovo capitolo della lotta al riscaldamento globale è un punto di partenza importante e non scontato, come ha sottolineato la delegazione cinese.
Anche L'Alleanza dei Piccoli Stati Insulari (Aosis), che riunisce i 39 Paesi insulari e costieri delle zone caraibiche, del pacifico ma anche del continente africano e asiatico, ha definito l'accordo “imperfetto”, ma comunque un passo avanti verso il “progresso”.
Per Filippo Nelli, ingegnere idraulico presso il Bureau of Meteorology, il Centro Nazionale Australiano di Meteorologia, "siamo alle solite, too little too late".
In primis sono mancati i cosiddetti "grandi inquinatori" come gli Stati Uniti: senza di loro, nessuna azioneFilippo Nelli, ingegnere idraulico
Martino Malerba, senior lecturer della RMIT e membro del Centre for Nature Positive Solutions, vede invece il lato positivo della vicenda.
"Le cose più positive sono le statistiche sulle energie rinnovabili perché prima si pensava che si dovessero imporre, mentre adesso stanno venendo fuori come invece una cosa che è anche economicamente sostenibile, anzi più vantaggiosa", ha detto Malerba ai microfoni di SBS Italian.
Federico Marcon, Associate Director of Development alla Deakin University ed esperto in relazioni internazionali, ha invece analizzato l'aspetto più politico e diplomatico della COP, in particolare il fatto che l'Australia abbia rinunciato ad ospitare la prossima edizione.
"Noi come settore universitario abbiamo avuto conversazioni con il governo australiano negli ultimi due anni, e abbiamo sempre avuto un pochino l'idea che il governo non fosse completamente convinto di organizzarla", ha dichiarato.
"Credo che in questo momento si veda la COP come impopolare, e quindi penso che il governo australiano abbia deciso di non investire un'enorme quantità di soldi per organizzare qualcosa che potrebbe non portare un vantaggio né da un punto di vista geopolitico né da uno diplomatico", ha concluso Marcon.




