Per la maggior parte del XX secolo, l’archeologia ha relegato l’Homo neanderthalensis, un primate vissuto tra i 200.000 e i 40.000 anni fa in Eurasia, ad un passaggio lontano sulla scala evolutiva rispetto all’uomo modeno, l’Homo sapiens.
Recenti scavi archeologici stanno sovvertendo questa tesi, dimostrando come l'uomo di Neanderthal sia molto più simile a noi di quanto creduto prima.
In particolare, sono stati rinvenuti nella Grotta di Fumane, poco fuori Verona, resti che dimostrano la capacità di pensiero astratto, avanzate forme di comunicazione e un senso estetico del primate.

L'ingresso alla Grotta di Fumane. Credit: Wikipedia
”Fino ad una ventina di anni fa, i Neanderthal erano ritenuti incapaci di esprimere un senso estetico, ma abbiamo trovato una falange di aquila che reca tagli lasciati da coltelli di pietra, che attesterebbero il distacco deliberato dal corpo di questo grande rapace”.
Le piume avrebbero svolto la funzione di ornamento, uso che accomunerebbe il primate a popolazioni vissute in altre aree geografiche, inclusa l’Australia.

Disegno di Mauro Cutrona. Credit: Università degli Studi di Ferrara
Il professor Peresani sarà ospite della Griffith University di Brisbane per una lezione dal titolo “From Neanderthal to us: The incredible journey of human evolution”.