È stato presentato questa settimana il "Rapporto 2019 sull'economia dell'immigrazione" della fondazione Leone Moressa.
E, secondo la pubblicazione, in quasi 10 anni circa 500 mila italiani, di cui la metà tra i 15 e i 34 anni, sono andati a vivere e lavorare all'estero.
E vi si stima che la fuga dei circa 250 mila giovani sia costata al paese un potenziale di 16 miliardi di Euro, oltre un punto percentuale di Prodotto Interno Lordo italiano.
E se l'1% vi sembra un numero piccolo, considerate che, in teoria, può rappresentare la differenza, per l'economia italiana, tra una situazione di stagnazione - o ancora peggio di recessione - e una di crescita.
E questo è infatti il valore aggiunto che i giovani emigrati potrebbero realizzare se occupati nel nostro Paese.
Tra le cause dell'esodo dei giovani, secondo il rapporto, ci sarebbero le "scarse opportunità occupazionali". Infatti l'Italia registrerebbe "il tasso di occupazione piú basso d'Europa nella fascia 25-29 anni: il 54,6% rispetto a una media dell'Unione Europea del 75%".
Ma alla luce di tutto questo, è possibile fermare quello che molti commentatori chiamano un "esodo"?
E magari invertire la tendenza, creando le condizioni perché alcuni di questi italiani migrati all'estero, spesso giovani e spesso con competenze accademiche e professionali acquisite in Italia e perfezionate all'estero, tornino indietro?
SBS Italian, nel corso del programma di oggi (10 ottobre) lo ha chiesto ad alcuni ospiti e ha aperto le linee agli ascoltatori ponendo loro la domanda: "A parte la cultura e gli affetti, che cosa vi spingerebbe a tornare in Italia?".
Secondo Andrea Ciaffi, nonostante esista uno sforzo per riportare i "cervelli in fuga" in Italia, soprattutto nella forma di alcuni incentivi fiscali, questo non è abbastanza.
"Non basta dare semplicemente sconti sulle tasse, ma bisogna risolvere il problema per il quale i ragazzi se ne sono andati che era appunto, secondo me, una prospettiva per il futuro a lungo termine".
Andrea ha 32 anni, è un ingegnere edile originario di Roma che vive a Sydney dal 2014 e oggi, avendo anche acquisito la cittadinanza australiana, lavora per una delle più importanti aziende d’ingegneria al mondo, ARUP.
Guardando al suo settore, quello dell'ingegneria, Andrea prova a suggerire una direzione per rendere l'Italia più appetibile per chi se n'è andato.
"Se non investiamo in un piano di infrastrutture credibile in Italia, uno per ogni settore, nell'ambito della medicina, delll'ingegneria... insomma ogni settore, non possiamo proporre solo sconti fiscali. Quello che conta sono le opportunità che bisogna generare in Italia", sostiene Andrea.
Secondo Andrea, l'Italia non perde solo il potenziale economico che viene evidenziato nel rapporto, ma anche un capitale inestimabile: il know how acquisito in Italia da chi se n'è andato, affinato all'estero e di cui beneficeranno proprio quei Paesi che hanno fornito loro delle opportunità.

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Secondo lui la chiave del successo sarebbe un incontro tra due dinamiche: da un lato uno stanziamento di risorse da parte dello stato italiano e dall'altro dare la possibilità a questi giovani di insegnare all'Italia quello che hanno imparato all'estero sul modo in cui queste risorse debbano essere impiegate con successo.
E anche Stefano, ingegnere anche lui laureato a Roma, pensa che siano necessari dei cambiamenti strutturali: "Non sono sufficienti piccole manovre finanziarie se non cambiamo il sistema lavoro, se non cambiamo il modo in cui le aziende operano e il modo in cui gli investitori investono in Italia".
Un altro settore che vede moltissimi italiani emergere professionalmente qui in Australia è quello accademico.
Alberto Meucci, ingegnere civile, fa oggi il ricercatore alla University of Melbourne. E ricorda la sua esperienza in Italia:
"In Italia la sitiuazione, almeno nel mio campo, era abbastanza difficile. Il lavoro c'era non c'era lo stipendio, ma c'era 'metà stipendio'. E nell'ingegneria civile devi faticare per anni prima di prendere una posizione che ti dia un minimo di stabilità".
"Ti dicono che sei un investimento, che devi aspettare", continua Alberto. "In altri paessi come qui in Australia, anche se non sei al top, subito ti danno considerazione, ti fanno sentire una risorsa".
Ma cosa può convincere gli italiani all'estero a tornare in Italia?
Alberto non pensa ci sia molto che possa essere realisticamente fatto, se non forse, per chi si occupa di ricerca, attraverso dei fondi per il settore.
Ma secondo lui è molto difficile tornare:
"Una volta che metti piede fuori dall'Italia...tutti me lo dicevano quando si parlava con altri italiani che avevano fatto questa esperienza (andare all'estero) prima di me, e mi dicevano 'guarda che non torni in Italia'. E alla fine è andata così".