Scienza, tecnologia e futuro nel libro di Alessandra Pucci

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Alessandra Pucci, insieme al figlio Federico, al Console Generale d'Italia a Sydney Gianluca Rubagotti e Concetta Cirigliano Perna, Presidente della Società Dante Alighieri di Sydney. Credit: Courtesy of Alessandra Pucci

Alessandra Pucci, biologa e pioniera della biotecnologia in Australia, nel suo libro "Arguably Prescient: Occasional Writings of a Parallel Life,1990 - 2025", riflette sul rapporto tra scienza, tecnologia e responsabilità.


La storia professionale di Alessandra Pucci attraversa continenti e discipline. Nata in Eritrea, formatasi in Italia, poi attiva in Francia, Stati Uniti e infine stabilitasi in Australia, Pucci ha costruito un percorso che tiene insieme scienza, impresa e divulgazione.

Oggi vive a Sydney, dove continua a scrivere e riflettere su scienza e società. Per il suo contributo alla ricerca e all’industria è stata insignita dell’onorificenza dell’Ordine d’Australia e dell’onorificenza della Repubblica Italiana.
Nel suo recente libro Arguably Prescient: Occasional Writings of a Parallel Life, 1990 - 2025, raccoglie oltre trent’anni di riflessioni, articoli e appunti. Un percorso che attraversa biotecnologia, politica della scienza, educazione, trasformazioni sociali e culturali, sempre con uno sguardo orientato al lungo periodo.

L’idea di pubblicarli nasce dalla rilettura dei suoi archivi e da un confronto con il figlio, avvocato. È stato proprio lui a suggerire il titolo.

“Secondo lui in tutti questi scritti che andavano dal 1990 c'erano varie cose che poi si sono realizzate. [Ad esempio], avevo anticipato il fatto che l’internet - ma soprattutto i social media - potevano avere un effetto dannoso sui giovani in crescita”, racconta Alessandra Pucci, al microfono di SBS Italian.

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Formata come biologa e specializzata in immunologia, Pucci ha saputo muoversi tra ricerca pura e applicazione industriale. Negli anni Ottanta ha fondato la prima azienda biotecnologica australiana, in un momento in cui il settore era ancora agli albori.
L’ispirazione arrivò dopo un periodo di studio in Nord America, dove stava esplodendo l’interesse per la prima compagnia biotech quotata in borsa. Per adattare quel modello alla propria esperienza scientifica, scelse una tecnologia sviluppata nel Regno Unito – quella degli anticorpi monoclonali – e si avvalse del sostegno economico di investitori italiani.

Gli anticorpi monoclonali, spiega, sono "prodotti biologici opposti al prodotto sintetico" e si utilizzano sia per la diagnosi precoce – come nel caso delle patologie tumorali – sia per le terapie. Oggi rappresentano una base fondamentale della medicina moderna.
Convinta che il sapere debba essere condiviso, ha sempre ritenuto centrale il ruolo della scienza come base della conoscenza, ma ha anche messo in guardia rispetto ai rischi dell’applicazione tecnologica incontrollata.

"La scienza è sempre buona perché è conoscenza", afferma. "Però il momento in cui i vari promotori la applicano la possono applicare bene e male".

Uno dei suoi timori più attuali riguarda l’intelligenza artificiale. Se da un lato ne riconosce l’utilità, dall’altro ne osserva criticamente l’impatto sul modo di lavorare degli scienziati. "Gli scienziati ora [...] sono schiavi di questa capacità che l'intelligenza artificiale ha di arrivare a delle conclusioni prima", dice. Una rapidità che, secondo lei, rischia di compromettere la profondità dell’analisi, rendendo la ricerca più superficiale e meno attenta alle conseguenze.
È proprio questo il punto che attraversa tutta la sua riflessione: la distanza crescente tra conoscenza e responsabilità. La scienza, afferma, si fonda su un principio di verifica rigorosa. Una scoperta non è tale finché non viene riprodotta indipendentemente in più contesti. Al contrario, le tecnologie derivate spesso vengono applicate senza adeguati controlli preventivi, e solo successivamente se ne valutano gli effetti.

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