Più di 4 miliardi di persone, cioè oltre la metà della popolazione mondiale, saranno chiamate a esprimere un voto in 76 Paesi, anche se in ben 43 Paesi non si potrà parlare di elezioni libere.
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Oltre alle elezioni europee, che per cui circa 400 milioni di elettori ed elettrici dei 27 stati membri esprimeranno la propria preferenza, si voterà anche in otto dei dieci Paesi più popolosi al mondo, cioè Bangladesh, Brasile, India, Indonesia, Messico, Pakistan, Russia e Stati Uniti.
Domani, però, il voto di poco più di 19 milioni di aventi diritto ha gli occhi di tutto il mondo addosso.
A Taiwan, infatti, si deciderà chi prenderà le redini del Paese, dato che la presidentessa in carica, Tsai Ing-wen, è al secondo mandato, e non si ripresenterà.
Secondo il giornalista Gabriele Battaglia, "la popolazione di Taiwan vuole il mantenimento dello status quo, senza né dichiarare una indipendenza formale dalla Cina né appartenerle". Un voto gattopardesco, dunque, che cambierà la guida affinché niente cambi.
Il voto a Taiwan si rivela quindi cruciale per i rapporti tra Pechino e Taipei, nonché per un ordine geopolitico che scricchiola spesso, tra presunti riarmi - di Formosa- finanziati dagli Stati Uniti e altrettanto presunti missili cinesi sulla testa dei taiwanesi.
Taiwan vive, secondo Battaglia, una situazione ibrida da più di 70 anni: "Non è riconosciuta a livello internazionale, anche se ha rappresentanti nei principali Paesi del mondo che svolgono attività ambasciatoriali", spiega Battaglia.
Internazionalmente, Taiwan è chiamata Repubblica di Cina, anche se durante gli eventi sportivi il nome cambia in "Taipei cinese".
Questa alternanza nominativa non è che l'ennesima conferma di una condizione non precisamente definita, e che, secondo Battaglia, "nessuno sembra avere al momento intenzione di alterare", nonostante Pechino abbia recentemente definito "inevitabile" la riunificazione.
Pechino non vuole che Lai vinca. Non gradisce la sua base indipendentista.Gabriele Battaglia