Il dato di partenza è netto: al recente referendum in Italia ha votato meno di un terzo degli aventi diritto. Un’astensione di massa che ha reso nullo l’esito e che riapre il dibattito sulla partecipazione democratica.
In Italia il voto è un diritto e un dovere civico, ma non è obbligatorio. In Australia, invece, votare è un obbligo sancito per legge, e chi non si presenta alle urne senza giustificazione rischia una sanzione.
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È più giusto lasciare al cittadino la libertà di scegliere se votare, o imporre l’obbligo come strumento per rafforzare la democrazia?
Alessandro Pelizzon, docente di diritto alla University of the Sunshine Coast, ha spiegato che l’articolo 48 della Costituzione italiana riconosce il voto come diritto e dovere civico, ma non lo rende obbligatorio.
"Fino agli anni ’90 c’erano delle conseguenze per il mancato voto, particolarmente per i dipendenti pubblici", osserva Pelizzon al microfono di SBS Italian. "Chi non votava senza giustificazione veniva registrato su quello che veniva chiamato lo schedario elettorale".
Oggi, sottolinea, queste misure sono cadute in disuso. In Australia, invece, l’obbligatorietà del voto è rafforzata da sanzioni. "Se riconosciamo che la partecipazione politica sia importante per la funzione della democrazia, allora qualche forma di multa o di imposizione è necessaria per garantire la continuità del voto da parte della maggioranza della popolazione", dice Pellizzon.
"Pensare di poter sanzionare chi non vota, io lo trovo veramente complesso anche da giustificare", afferma Chiara De Lazzari, ricercatrice associata alla Monash University di Melbourne, che ha invitato a considerare il contesto culturale e istituzionale di ciascun Paese.
Secondo De Lazzari, la questione non si risolve introducendo l’obbligatorietà, ma comprendendo le ragioni profonde del disimpegno. Ha ricordato che solo una minoranza dei Paesi nel mondo ha forme di voto obbligatorio, e che nei contesti democratici maturi la partecipazione non si impone, ma si costruisce.
"Attivare meccanismi di compulsory voting non è uguale ad avere cittadini informati", afferma.
"Vi garantisco che se mettessero l’obbligatorietà, i politici farebbero in modo di informare la gente in maniera consapevole", commenta Paolo, un ascoltatore. Secondo lui il diritto di astenersi può essere esercitato anche annullando la scheda, ma è fondamentale che ogni cittadino si presenti alle urne.
"Non esercitare il diritto di voto non è libertà, è una rinuncia", afferma Vincenzo, un altro ascoltatore. Secondo lui, a giustificare l’obbligo non sono solo motivi di principio, ma anche ragioni concrete: i costi della macchina elettorale all’estero, a fronte di una partecipazione spesso molto bassa, rendono necessaria una riflessione sull’efficienza e sul rispetto delle risorse pubbliche.
"Pensare all’astensionismo come semplicemente non andare a votare è riduttivo", dice Luigi Di Martino, Presidente del Comites del NSW, che richiama l’attenzione sulla necessità di rafforzare il coinvolgimento civico già in età scolastica e di valorizzare il dibattito pubblico.
Sul voto all’estero aggiunge: "La partecipazione va stimolata attraverso il dibattito prima del voto, non solo al momento del voto in sé".