L’annuncio di una nuova tassa sulle chiamate fatte con WhatsApp e altri servizi simili ha fatto scoppiare in Libano le più imponenti e partecipate manifestazioni della storia recente del Paese. Le prime proteste sono scoppiate spontaneamente venerdì nelle principali città - Beirut e Tripoli e - nonostante fossero inizialmente a carattere pacifico, col passare delle ore sono scoppiati scontri tra manifestanti e polizia nei quali ha perso la vita una persona e i danni sono stati ingenti.
Le proteste sono poi proseguite nei quattro giorni successivi, arrivando a far traballare il governo di unità nazionale del primo ministro Saad Hariri. La legge sulla tassa sulle chiamate è stata nel frattempo ritirata, ma il Premier ha minacciato di dimettersi se i suoi alleati di governo non approveranno importanti riforme per cercare di porre freno ad una gravissima crisi economica.
Le attuali tensioni nel paese dei cedri si inseriscono in un quadro geopolitico regionale più ampio e complesso. Se è infatti vero che l’economia è sterile e costringe molti giovani a emigrare in cerca di lavoro, che le spiagge libanesi sono stracolme di spazzatura e che il governo è da tempo incapace di approvare riforme, è altrettanto vero che la crisi permanente nel vicino siriano costituisce un altro fattore di instabilità che non aiuta la soluzione dei vari problemi del Paese.

La protesta della comunità libanese a Martin Place, a Sydney. Source: Nasir Jebeile
Di tutti questi temi abbiamo parlato col giornalista Michele Giorgio, corrispondente del quotidiano Il Manifesto da Gerusalemme.




