La storia di Rocco Perna comincia a San Giorgio Lucano, un piccolo paese incastonato tra le colline della Basilicata. Quando nacque, il paese stava raggiungendo il suo apice demografico: tremila abitanti, molti dei quali contadini o artigiani.
Era un mondo semplice e povero, che Rocco definirà anni dopo con le parole di Carlo Levi e della sua 'Cristo si è fermato a Eboli', ritrovando nelle pagine dello scrittore torinese gli stessi gesti e le stesse dinamiche che avevano scandito la sua infanzia.
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Credit: Courtesy of Rocco Perna
La famiglia Perna viveva del lavoro del padre, falegname di mestiere e contadino per necessità. Un piccolo appezzamento, qualche olivo, una grotta dove si teneva il vino, un maiale allevato per sfamare la famiglia durante l’inverno: la normalità di tante case del meridione dell'epoca.
Nel mio paesino era l’immaginazione a dare colore a una vita che altrimenti offriva pochi stimoliRocco Perna
C’era però un luogo speciale: “La Valle delle Scale”, un bosco vicino al paese dove Rocco e i suoi amici giocavano, fantasticando incontri impossibili. “Speravamo quasi di trovare un leone. Era l’immaginazione a dare colore a una vita che altrimenti offriva pochi stimoli".
Poi, la svolta. Con la morte del nonno, il padre di Rocco decise di cercare un futuro migliore per i figli. Come migliaia di meridionali, in quegli anni, parti per il Nord, verso Torino. Per quattro anni visse da solo, tornando al paese una volta l’anno, finché non riusci a portare con sé tutta la famiglia.
Nel settembre del 1961, Rocco aveva quasi dieci anni quando lasciò la Basilicata. Il viaggio fu un’epifania: “Per la prima volta salii su un autobus, per la prima volta vidi il mare a Taranto, per la prima volta presi un vero treno.” Tre emozioni in un solo giorno.
Torino, nel 1961, era in pieno fermento: il centenario dell’Unità d’Italia, le luci del boom economico, la città-fabbrica in espansione. Il contrasto con San Giorgio Lucano fu insomma inevitabile ed enorme. “Per un bambino della mia età era abbastanza da disorientare chiunque.”
L'impatto con Torino fu difficile: avevo un accento marcato, usavo parole dialettali. Mi sentivo diverso, poco accoltoRocco Perna
Ma l’impatto più duro arrivò a scuola. L’anno scolastico cominciò ad ottobre, e Rocco ebbe poche settimane per ambientarsi. Il problema principale fu la lingua: “Mi accorsi subito che parlavo diversamente dagli altri bambini. Avevo un accento marcato, usavo parole dialettali. Mi sentivo diverso, poco accolto. Mi isolavo senza volerlo”, ricorda.
Il disagio divenne anche fisico: la tensione gli impediva perfino di chiedere di andare in bagno. “Per non alzare la mano e farmi sentire parlare in modo diverso, finivo per farmela addosso”. Episodi dolorosi, condivisi solo molti anni dopo con i familiari.

Credit: Courtesy of Rocco Perna
Fu la svolta: Rocco decise che al ritorno avrebbe parlato solo italiano, anche con i fratelli, liberandosi del senso di inadeguatezza e ritrovando fiducia. Quando dovette ripetere la quinta elementare, superò brillantemente l'ostacolo, risultando il migliore della classe.
Torino trasmette laboriosità, sobrietà e discrezione. Valori che ho assorbito, facendoli mieiRocco Perna
Da lì in poi, Torino divenne il terreno sul quale ricostruire la propria identità. “È una città che trasmette laboriosità, sobrietà, discrezione” spiega. Valori che Rocco sente ancora affini. “È stato naturale assorbirli”.
Quell'estate rappresentò l’inizio di un nuovo percorso: la seconda vita di Rocco Perna, cresciuto tra il Sud contadino, l’immaginazione dell’infanzia e il dinamismo della città che ha sempre accolto milioni di migranti interni. Una storia storia familiare che racconta l’Italia delle migrazioni interne e la determinazione di un bambino di dieci anni deciso a reinventarsi. Una vicenda che racconta anche una parentesi importante dell’Italia del Novecento.

