Un medico italiano in Madagascar, in pensione "attiva" con Amici di Ampasilava

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Il medico Giuseppe Nardi (prima fila a destra) con lo staff dell’ospedale di Andavadoka (Madagascar). Credit: Associazione Amici di Ampasilava

Giuseppe Nardi, primario in grandi ospedali italiani, ha sempre creduto in un sistema di cure gratuito per tutti. Dopo la pensione questo ideale lo ha portato anche in Africa con l’Associazione Amici di Ampasilava, con cui lavora nel sud-ovest del Madagascar.


"Il giorno in cui sono andato in pensione, ho ripreso a seguire il mio sogno di cooperazione con i Paesi a basse risorse e ho risposto a un accorato richiamo di un amico che si trovava da solo in un piccolo ospedale del Madagascar, in una zona del sud ovest isolatissima", spiega al microfono di SBS Italian il dottor Giuseppe Nardi.

"Il suo messaggio era sostanzialmente: 'Non ce la faccio più, per favore, che qualcuno venga a darmi il cambio nell'arco di 10 giorni'", ricorda. "Mia moglie, che è un'infermiera, ed io ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti: 'Andiamo!'. E siamo partiti".

La struttura in questione era Hopitaly Vezo, che è stato inaugurato il 15 ottobre 2008.

La coppia si è recata nel villaggio di Andavadoaka, dove l'associazione Amici di Ampasilava finanzia e gestisce l'ospedale, offrendo assistenza gratuita a tutta la popolazione.

"È un ospedale piccolino, ma serve una popolazione enorme, che arriva a volte anche da centinaia di chilometri a piedi o sul carretto".

"Siamo molto conosciuti in Madagascar, sia perché è un ospedale gratuito, sia perché progressivamente questo ospedale negli ultimi anni ha fatto grandissimi passi avanti. In questo momento c'è un'équipe locale che abbiamo formato sostenendo anche le loro spese di formazione".
"La patologia più grave e diffusa è la tubercolosi: è una malattia terrificante che uccide, anche abbastanza difficile da diagnosticare. Poi ci sono tutte le patologie tropicali, un po' di malaria, la schistosomiasi, e c'è il grandissimo problema della malnutrizione, che è una piaga drammatica per l'intero Paese".

"La scelta a monte, di fare quello che posso dove serve, è una scelta di vita", spiega l'ex primario.

"L'ho fatto in Italia finché doveva fare parte della mia professione, ma diciamo che io ho sempre avuto l'animo del volontario, e quindi non mi è sembrato vero d'essere arrivato alla pensione per poter riprendere questo percorso".

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