In Italia continua a far discutere il “no” di Jannik Sinner alle fasi finali della Coppa Davis, in programma a Bologna dal 18 al 23 novembre. Dopo aver riportato la squadra di Filippo Volandri al trionfo nel 2023 e averla trascinata al successo anche lo scorso anno, stavolta il numero due del mondo ha scelto di fermarsi.
Una decisione motivata dal bisogno di recuperare dopo una stagione lunga e da una precisa pianificazione in vista del 2026, ma che ha aperto una frattura nell'opinione pubblica: da un lato chi la giudica una prova di maturità, dall’altro chi la considera un segnale di disaffezione verso l'Italia e la maglia azzurra.
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Domenica scorsa a Vienna l'altoatesino ha conquistato il 22mo titolo della sua carriera Source: SIPA USA / Felice Calabro' / ipa-agency.net/FELICE CALABRO'IPA/Sipa USA
Da lì, il fuoco si è propagato: Nicola Pietrangeli ha parlato di “schiaffo”, Aldo Cazzullo di “occasione simbolica mancata”. Qualcuno ne ha messo in discussione l'italianità del 24enne di Sesto Pusteria, mentre Adriano Panatta ha invitato a leggere la scelta con le lenti del tennis moderno, dove la Davis non ha più il peso di un tempo.
Un grande campione per principio deve giocare la Davis. Ci ha fatto vincere due coppe? Ci avrebbe potuto far vincere la terzaBruno Vespa
Sul piano sportivo, infatti, la Coppa Davis di oggi non è più la maratona di una volta, ma un evento compatto, in un’unica settimana, con confronti e incontri più brevi che in passato. Eppure, anche per questo, alcuni ritengono che Sinner avrebbe potuto esserci, almeno nella fase finale di Bologna.
Il dibattito resta aperto: fino a che punto un atleta ha il dovere sportivo e morale di rappresentare la propria nazione? La rinuncia di Sinner è un gesto lungimirante per preservare corpo e carriera (e trascinare il movimento attraverso i risultati ottenuti nel circuito) o un segno di crescente distanza dal senso di appartenenza? Soprattutto, è un'occasione mancata per regalare ai tifosi azzurri la prima vittoria di una Coppa Davis in Italia?




