L’Australia è uno dei maggiori esportatori di gas al mondo, eppure milioni di famiglie pagano bollette sempre più care. Al riguardo, preoccupa anche la decisione dell'esecutivo Albanese di non prorogare i sussidi governativi per calmierare i prezzi, e quindi la sensazione che l'aumento dei costi dell'energia possa innescare una nuova spirale inflazionistica.
Negli ultimi tre anni, le tariffe elettriche sono già salite di oltre il 30% in Queensland e in New South Wales, del 25% in Western Australia e del 20% in Victoria. Alla radice del problema c’è una scelta industriale dell'azienda Santos, che 10 anni fa decise di raddoppiare le sue esportazioni, nonostante avesse riserve insufficienti.
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Michele Bullock, governatrice della Reserve Bank of Australia, nell'ultima conferenza dell'anno Source: AAP / DAN HIMBRECHTS/AAPIMAGE
Che cosa intende fare il governo per correggere questa deformazione del sistema, mentre la domanda cresce più della capacità produttiva, e i risultati si riflettono sulle bollette? Intervenire sul lato dell’offerta è difficile e lento; intervenire sulle esportazioni implica scontrarsi con colossi energetici che generano miliardi di entrate fiscali.
In questo scenario, non incentivare l'uso delle energie rinnovabili significa darsi la zappa sui piediMassimiliano Tani
"A differenza degli Stati Uniti, l'Australia non gode di un'autonomia e di una credibilità internazionali sufficienti. Quel che il governo potrebbe fare sarebbe introdurre una tassa sulle esportazioni di gas, con i cui profitti potrebbe finanziare la riduzione delle tariffe", spiega Massimiliano Tani, professore di finanza dell'Università del NSW di Canberra.
Intanto la Reserve Bank, riunitasi per l’ultima volta nel 2025, ha deciso di non toccare i tassi, fermi al 3,6%. Ma l’inflazione — risalita al 3,8% negli ultimi mesi — ha costretto la Banca a interrompere la politica espansionistica e lascia presagire aumenti del prezzo del denaro nei prossimi mesi.




